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Rinaldi: “Il quadro economico: dalla Svizzera ad Atene… passando per quell’Italia di Greta e Vanessa”

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antonio maria rinaldiDagli effetti del crollo della Borsa Svizzera al rientro dei capitali in Italia, dalla Grecia che non paga le tasse in attesa delle elezioni all’aumento dell’indice di povertà segnalato da Confcommercio: analisi a tutto tondo che Antonio Maria Rinaldi, economista, professore straordinario di Economia Politica presso la Link Campus University di Roma e docente di Finanza Aziendale presso la “G.d’Annunzio” di Chieti-Pescara, argomenta nella conversazione con Intelligonews. Con una lettura particolare sul presunto riscatto per la liberazione di Greta e Vanessa…

Dopo il crollo della Borsa elvetica con gli investitori che contano i danni, qual è il senso della mossa della Svizzera?

«Anzitutto occorre vedere come erano espressi gli asset da parte degli investitori perché se gli asset erano espressi in franchi svizzeri, anche con una discesa dell’indice di quella portata, sarà sempre un guadagno visto che il franco svizzero si è comunque rivalutato nei confronti dell’euro del 20 per cento. Eventualmente, il problema è, come hanno comunicato oggi gli industriali svizzeri, che da questa rivalutazione improvvisa del franco svizzero ci sarà una perdita di circa 5 miliardi nelle esportazioni di prodotti elvetici perché costeranno di più, anche se i prodotti elvetici sono ad altissimo contenuto tecnologico, pertanto risentiranno di meno rispetto alla super-valutazione della loro moneta ».

Perché è avvenuto?

«La storia è questa: considerato che la Svizzera ha sempre rappresentato per gli investitori un ‘rifugio’, il franco era stato sollecitato da fortissimi acquisti da parte degli investitori dell’area euro; pertanto le autorità monetarie avevano deciso di mantenere un ‘muro’ dell’1,20 perché ritenevano che quel livello di cambio fosse lo spartiacque per il cambio ottimale in relazione alla loro economia. Questo, però, ha indotto la banca centrale svizzera a vendere moltissimi franchi svizzeri per mantenere il livello di cambio, altrimenti il franco si sarebbe ulteriormente apprezzato nei confronti dell’euro. Tutto ciò si è rivelato essere non più sostenibile nonostante le autorità monetaria elvetiche avessero ribadito la volontà di mantenere questa sorta di cambio fisso con l’euro non più tardi di qualche mese fa, perché  l’azione combinata delle tensioni dell’area euro e il depauperamento del cambio dell’euro stesso nei confronti di altre valute internazionali, in primis il dollaro, avevano messo sotto pressione il mantenimento di quota 1,20. E’ paradossale che il piccolo ma organizzatissimo Stato svizzero faccia agio su una moneta come l’euro, espressione di un continente di ben più vaste dimensioni. Addirittura, neanche l’innalzamento dei tassi negativi portati da 0,50 a 0,75 è stato sufficiente ad arginare la violenza della rivalutazione del franco, a dimostrazione che non esistono regole e imposizioni valutarie che possono arginare le decisioni dei mercati. Praticamente, è avvenuto l’opposto di quanto accadde in Italia nell’agosto del ’92».

Accordo Italia-Svizzera per il rientro dei capitali. Qual è la sua valutazione?

«Anzitutto va ricordato che è il frutto del lavoro di anni di negoziati tra Italia e Svizzera. Dopodichè, si tratta di valutazioni soggettive in funzione degli asset investiti nelle banche svizzere. In altre parole, non è questione se conviene o meno, bensì occorre valutare caso per caso in relazione al tipo di investimento fatto in Svizzera. Per quanto riguarda gli effetti in Italia, teoricamente dovrebbe essere più oneroso l’acquisto di beni svizzeri e più vantaggioso esportate i prodotti italiani in Svizzera; nella pratica quelle che emerge dal caso svizzero è che l’euro è una moneta in agonia in quanto si è rivelato essere un accordo di cambi fissi che fa acqua da tutte le parti e non certo un’Oca (Area Ottimale Valutaria). Bisogna valutare caso per caso, anche perché se prevarrà la sfiducia nei confronti dell’euro e degli asset denominati in euro, gli investitori potrebbero non essere interessati a far rientrare i capitali in Italia».

Secondo i dati di Confcommercio il “Misery Index” è in crescita. Un segnale preoccupante nel silenzio della politica?

«Certamente la politica non ha interesse a valutare questi dati che, tra l’altro, non c’è bisogno di scomodare perché basterebbe farsi un giro nei supermercati dopo il 20 di ogni mese per capire che la situazione in Italia si sta deteriorando giorno per giorno. Più semplicemente basterebbe parlare con un barista per capire che la richiesta di cappuccini e cornetti si è dimezzata negli ultimi anni. Per non parlare dei dati sulla disoccupazione che purtroppo e non a caso, parlano molto chiaro. Fintanto che gli italiani si accontentano delle belle parole di Renzi che dice che va tutto bene…».

Da economista può spiegarci se e come l’ipotetico pagamento del riscatto per la liberazione di Vanessa e Greta potrebbe avere effetti sulle casse dello Stato?

«Premesso che in Italia esiste una legge molto chiara che proibisce il pagamento di riscatto addirittura prevedendo la confisca dei beni dei familiari dei sequestrati, non capisco perché lo Stato si comporterebbe in maniera diametralmente opposta. Tra l’altro, le due ragazze non erano state inviate dal governo o dalle istituzioni italiane ma erano in una zona di guerra a livello di volontariato sapendo perfettamente il rischio che correvano. Al di là di queste considerazioni, va detto che i presunti 12 milioni di dollari potrebbero andare ad alimentare la proliferazione di cellule terroristiche in Europa e nel nostro Paese. Nelle pieghe del bilancio dello Stato che ammonta a oltre 800 miliardi di euro, trovare 12 milioni di dollari pari circa a dieci milioni di euro, non è difficile. D’altronde, è noto che tutti i governi del mondo hanno a disposizione delle disponibilità per operazioni “straordinarie”. Piuttoso è un problema di opportunità; il fatto grave non è l’eventuale esborso dalle casse dello Stato, quanto l’aver ribadito il principio che l’Italia paga, col rischio che da oggi si apra la ‘caccia all’italiano’».  

I greci hanno deciso di non pagare le tasse in attesa dell’esito delle elezioni. Giusto o sbagliato secondo lei?

«Giustissimo, anche perché fino ad ora i greci sono stati spremuti come limoni con tassazioni di ogni tipo ma i risultati non sono stati raggiunti. Evidentemente, sono errate le politiche economiche supportate dall’Unione Europea che hanno indotto a questo tipo di tassazione. E’ un ragionamento che farebbe chiunque; tra l’altro penso che l’atteggiamento dei greci sia dovuto al fatto che non hanno più soldi per pagare le tasse. Un po’ come gli italiani che ormai per pagare le tasse sono costretti a fare debiti».

Da oggi aumentano le accise sulle marche più famose delle sigarette. Nuove tasse?

«Non mi meraviglia se aumentano anche le accise sui tabacchi perché ci siamo affidati a una unione monetaria la cui sopravvivenza si basa esclusivamente sul reperimento delle risorse finanziarie atte al fabbisogno dello Stato, attraverso la leva fiscale e su taglio della spesa pubblica non essendo più possibile la monetizzazione, almeno parziale, del debito».


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